Riprendo un argomento che mi sembra essenziale, quello dei “privilegi”
che le nostre leggi accordano al lavoratore rispetto a quello che ho chiamato “cittadino
semplice”.
Ah scusate, prima del lavoratore vanno sempre accontentate le
banche, ma assolto questo doveroso ossequio, io insisto.
Al primo posto nella ripartizione della ricchezza, in una
comunità civile, non ci può essere il criterio dello status sociale (e ho dei dubbi
anche sulla cosiddetta meritocrazia), ma solo la considerazione dei bisogni della persona.
Senza distinzioni di nessun tipo, ad ogni cittadino vanno
garantiti il mangiare, il vestire, l’alloggio, l’istruzione e la sanità, non
importa che si sia o meno lavoratori, vecchi, giovani o altro.
Certamente vanno anche garantiti in misura dignitosa, comunque adeguata
alla ricchezza complessiva della nazione.
Non voglio qui proporre medie
aritmetiche, ma mi limito a ricordare quel che diceva uno dei pochi industriali
illuminati che abbiamo avuto, Adriano Olivetti, secondo il quale il rapporto fra
lo stipendio più alto e quello più basso non doveva essere superiore a 10, e mi sembra sufficiente.
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