Ancora stamattina gli USA non si raccapezzavano sull’Egitto.
Considerare la deposizione violenta del presidente Morsi da
parte dell’esercito un vero colpo di stato, oppure farlo rientrare nei canoni
della dialettica democratica?
Molti ora parlano di transizione, ma i giochi di parole non
sono simpatici se grondano del sangue dei fratelli.
Morsi, che a giugno del 2012 sconfisse il candidato dei
militari, è il primo presidente egiziano eletto democraticamente.
C’è una costituzione in corso di scrittura, ma adesso ci
penserà l’esercito a metterla ai voti per poi eleggere il parlamento nel 2014, e già si capisce che se va bene si voterà nel 2015.
E’ ingiusto che la storia la scrivano i vincitori, ma
che perlomeno non usino le armi.

In Egitto hanno banalmente usato l’esercito, ma in fondo non
dispiace troppo a nessuno.
Non ai conservatori, spesso favorevoli ad azioni militari, e
neppure ai progressisti puri e duri, per i quali ogni potere che si ispiri,
come nel caso di Morsi, a fondamenti religiosi, anche se condivisi dalla gran
parte del popolo, è comunque da abbattere.
Pensano che un potere laico, anche se imposto od importato a
forza, sia sempre preferibile ad un potere religioso anche se fortemente
radicato fra la gente.
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