Le domande al contempo ingenue e trepidanti, se avesse mai ucciso qualcuno, restavano inevase, al massimo si meritavano una risposta negativa.
Mio zio di Bracciano l'ho invece incontrato poche volte.
Aveva fatto la II guerra mondiale, era stato anche in Russia e una volta sola accennò, mordendosi poi pentito il labbro, alle battaglie combattute coi lanciafiamme.
Di nonno abbiamo anche conservato un breve ma incisivo diario di guerra, donato all'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.
Entrambi, nonno Piero e zio Bruno, avevano lo sguardo fisso in un luogo interiore, al narrare questi brevi frammenti, quasi estorti loro con l'inganno.
Entrambi, credo, non avevano mai chiuso i propri conti personali con la guerra, portandosi appresso o una scheggia nelle ossa della testa o ricordi di urla che si disgregano in cenere.
Nell'ascoltare i loro accenni, nell'osservare con pudore i loro sguardi velati, sin da bambino mi ritenevo una persona fortunata.
Fortunato io e tutta la mia generazione ad esser nati indenni dallo strazio e dagli indicibili orrori della guerra, nonostante fossi nato appena 15 anni dopo.
Ho sempre pensato che, così come con certi miracolosi vaccini diffusi intorni ai primi anni '6o, anche verso la guerra avessimo sviluppato una qualche immunità.
Purtroppo mi devo ricredere.
A volte ho l'impressione di essere l'unico ad aver avuto nonni o zii che in guerra ci sono stati veramente e veramente mi han fatto capire, senza quasi parole, quale strazio essa sia.
la Grande Guerra 1914-1918 -- Pietro Storari
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